La semplificazione e il minimalismo nel design
C’è una locuzione famosissima, che identifica un certo modo di vedere il design. Questa frase è “Less is more”, che vuol dire, ovviamente, meno è meglio.
La frase è collegata al mondo del design; ma questo modo di utilizzare la creatività e l’output che essa produce, lo possiamo riferire, in senso lato, a tutta la comunicazione pubblicitaria, comprensiva degli aspetti testuali e visuali (testo, grafica, fotografia, video).
Il design non è ciò che si vede, ma come funziona
Il principio secondo cui “meno è meglio“ nasce un po’ prima della metà del secolo scorso, sostanzialmente per sostenere e proteggere la funzione del design. Il design non è ciò che si vede ma è come funziona.
Le origini del concetto, alla base del meno è meglio, si trovano nelle opere di astrazione geometrica dei pittori associati al movimento Bauhaus, il cui motto principale era: “La forma segue la funzione“; che sottolinea come qualsiasi progetto debba dare priorità all’usabilità e ogni considerazione estetica debba venire in secondo piano.
Questa visione di rafforza con il diffondersi dello Swiss Design, contraddistinto da ordine e pulizia.
Lo Swiss Design creerà anche il sistema a griglia, oggi diffuso ovunque dalla carta al web, per l’organizzazione visuale dei contenuti. Questo tipo di design è caratterizzato da caratteri tipografici lineari, chiari, leggibili e da un uso abbondante di spazi bianchi o negativi, per focalizzare l’attenzione sul contenuto reale.
Un ulteriore tipologia di design, collegata a questa filosofia, è quella del design scandinavo.
Il minimalismo
Nell’insieme, sono tre tipi di design che contribuiscono a creare gli stili e le forme proprie del cosiddetto minimalismo.
Il design, in quest’ottica, non è arte ma forma che segue la funzione, per cui viene progettato.
Un buon design fa fare bene ciò per cui è stato progettato
Un buon design “fa fare” bene la “cosa” per cui è stato progettato. E questo può valere per le pubblicità, in qualsiasi forma e media, per il packaging, per i titoli di una pagina web, ma anche per il testo di un post. Che si tratti di design di prodotto, di design grafico, di progettazione di un’interfaccia, di messaggi pubblicitari, la misura per capire se avete progettato bene il lavoro, è pari alla facilità con cui l’utente fa o comprende immediatamente ciò per cui l’oggetto, ad esempio, il post o l’articolo, sono stati progettati.
A questo punto sorge spontanea una domanda: se si chiama minimalismo è più facile o più complesso progettare interfacce, titoli, testi, che seguono queste regole?
Togliere tutto e lasciare solo l’essenziale è materiale per coraggiosi. Più si desidera e che il design sia semplificato, più il designer dovrà lottare per gestire il contenuto, limitando la tavolozza dei colori a un massimo di due o tre. Dovrà privilegiare l’uso di un design piatto rispetto per esempio al cosiddetto design scheumorfico (che imita la tridimensionalità, le luci, le ombre, i materiali della realtà). Dovrà utilizzare poche parole di reale e intenso significato, magari rappresentate da una tipografia visivamente “importante”.
L’utilizzo del minimalismo, quindi, è l’esatto contrario di ciò che potrebbe risultare spontaneo pensare: che sia un modo che utilizza un designer per andare sul sicuro; una rinuncia, fatta per pigrizia, alla progettazione di lavori “barocchi“, magari di maggior impatto per l’estetica comune.
Less is More (Work)
E allora, ecco che il detto Less is More va trasformato in Less is More (Work).
Tutti questi concetti possono essere facilmente riassunti, citando una celebre frase del grandissimo designer Bruno Munari.
“Complicare è facile, semplificare è difficile. Per complicare basta aggiungere, tutto quello che si vuole: colori, forme, azioni, decorazioni, personaggi, ambienti pieni di cose. Tutti sono capaci di complicare. Pochi sono capaci di semplificare.“
Ecco, questo è ciò in cui crediamo e che proviamo ad applicare quotidianamente. Noi vorremmo proprio rimanere tra quei pochi.
Tratto dal contributo di Elisabetta Alicino sul libro Immagini vs Parole, di Davide Bertozzi, ed. Hoepli.
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