Cos’è esattamente lo Storytelling
Prendiamo le distanze da un grande equivoco: fare storytelling non vuol dire raccontare storie (da Storytelling for dummies, di Andrea Fontana, Hoepli, Milano 2021).
Pur cercando, sempre, di non sovraccaricare il lettore con inglesismi superflui e spesso criptici, in questo caso, si tratta di un termine difficilmente traducibile, in italiano, con una parola sola.
La traduzione migliore è: comunicare attraverso racconti.
Come dici? Non c’è differenza?
In realtà la differenza è sostanziale; vediamo subito perché.
Una storia è una cronologia, quasi sempre una descrizione: “Ieri alle 13 finito il lavoro ero stanco e avevo fame. Sono uscito e ho mangiato un panino”.
Tutto piuttosto neutro e puramente informativo, giusto?
Sentite qui:
“Mangia, Torrie.” Sua figlia era seduta al tavolo della cucina, sul piatto davanti a lei c’era un panino al burro di noccioline e gelatina tagliato in quattro. Almeno non aveva più tutti quei problemi di alimentazione che c’erano stati prima dell’incidente*.
Un racconto è ispirazione, emozione, raffigurazione di uno stato d’animo.
Un insieme di informazioni qui diventano significative ed emozionanti. E si ricordano.
Un racconto, anche brevissimo, come può essere il testo di un post social, se è fatto bene dovrebbe invogliarti a continuare, per scoprire cosa succederà tra poco. E come andrà a finire.
Tutti gli eventi si muovono all’interno di una precisa atmosfera, che crea la voglia di saperne di più sull’incidente.
Il panino è solo la scusa.
Qualcosa è iniziato prima e finirà dopo.
E tu, lettore, sei lì. Nel mezzo.
* J. Thompson. La casa dei racconti segreti, Newton Compton, Roma 2012.
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